Quando parliamo di rifiuti a rischio effettivo, occuparsi di un corretto smaltimento costituisce un dovere civico non solo per l’ambiente, ma per tutta la comunità.
Il recente periodo di pandemia ha fatto scuola in questo senso; e ora sappiamo perfettamente del potenziale pericolo rappresentato da questo genere di rifiuti.
Una gestione superficiale, e uno smaltimento approssimativo, possono rappresentare l’inizio di un danno la cui soluzione potrebbe richiedere diverso tempo.
Ma come fare perché venga operato un corretto smaltimento?
Smaltimento rifiuti a rischio infettivo: quanti in Italia?
Nel nostro Paese, la produzione di rifiuti sanitari pericolosi è piuttosto massiccia.
Per l’anno 2019, il rapporto Ispra riportava una quantità di rifiuti a rischio infettivo pari a 175 mila tonnellate.
Una cifra di fronte alla quale si è avvertita l’esigenza di operare in modo drastico al livello normativo: non soltanto con un inasprimento delle pene per chi li abbandona, ma anche con un’educazione a monte del personale coinvolto.
Rifiuti a rischio infettivo: quali sono?
Ma a cosa ci riferiamo, essenzialmente, quando parliamo di rifiuti a rischio infettivo?
Il riferimento è piuttosto ampio, e comprende
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Rifiuti che hanno subito una contaminazione da secrezioni e liquidi biologici: sangue, essudati. Si intendono, in questo caso, rifiuti provenienti da ambienti ospedalieri e cliniche veterinarie.
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Dispositivi medici e di protezione provenienti da ambienti adibiti all’isolamento di pazienti infetti: guanti, mascherine chirurgiche, cateteri e strumenti medici per drenaggi.
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Oggetti invischiati di feci e urine infette come pannoloni.
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Utensili taglienti o acuminati come aghi, lamette e siringhe e strumenti per la cura del corpo provenienti da centri estetici.
Smaltimento rifiuti a rischio infettivo: come distinguerli?
A livello normativo, i rifiuti a rischio infettivo sono contrassegnati dai codici EER 18 01 03 e EER 18 02 02, i quali identificano rifiuti che, per essere smaltiti, richiedono particolari attenzioni e precauzioni.
I più comuni rispondono solitamente ai seguenti codici CER, che troviamo nella parte quarta del D. Lgs. 152/2006, allegato D.
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180103
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180203
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180202
Smaltimento rifiuti a rischio infettivo: l’educazione del personale
Al livello normativo, si è compreso immediatamente come un corretto smaltimento di questo genere di rifiuti parta dall’educazione del personale.
Il tema è disciplinato dal DPR 254/03 e prevede l’organizzazione di corsi di formazione per tutto il personale che operi con rifiuti provenienti da ambienti sanitari.
Questi ultimi comprendono ospedali, case di cura, banche del sangue, ambulatori veterinari e studi medici.
Fra le persone formate per uno smaltimento corretto di questi rifiuti figurano anche gli operatori socio sanitari, le cui sanzioni, in caso di mancato rispetto della normativa prevista, possono essere severe.
Smaltimento rifiuti a rischio infettivo: come fare?
Nella fattispecie, gli operatori devono impegnarsi a raccogliere i rifiuti in particolari contenitori che sono solitamente di colore giallo, chiamati halipack.
Il sacco inserito dev’essere ben assicurato al bordo di plastica del contenitore.
I contenitori possono essere di vari tipi:
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plastica rigida per oggetti taglienti e appuntiti;
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a forma di tanica per rifiuti sanitari liquidi;
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in cartone per rifiuti non taglienti e non liquidi.
Sterilizzazione dei rifiuti infettivi
I rifiuti accumulati vanno poi trasportati in un’apposita area di sterilizzazione a norma di legge, così da abbattere la carica infettiva e scongiurare il pericolo di un danno sanitario.
Del trasporto può occuparsi anche un’azienda professionista specializzata nelle gestione di questo tipo di rifiuti.
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